RACCONTI SULL’ERBA

Milton, Dunbartonshire, Scozia – primavera 1910

“Gradite un’altra tazza di caffè, Cecil?”
“Oh, vi ringrazio, Miss Pennington” risponde lui abbassando lo sguardo. Non posso evitare di sorridere.
“Vi prego, chiamatemi Wilhelmina”, rispondo facendo attenzione a non rovesciare nemmeno una goccia della bevanda bollente e ne inspiro l’aroma inebriante, “Anzi, Willie per gli amici” concludo regalando ai presenti il migliore dei miei sorrisi impostati.
Mia sorella mi lancia un’occhiata veloce, divertita, e soffoca una risata portando la tazza alle labbra e sorseggia in silenzio il suo caffè.
Dolce, con tre cucchiai di zucchero come piace a lei.
Amaro e con un goccio di latte fresco invece il mio. Poso la caffettiera d’argento del servizio buono che zia Annabel ha messo a nostra disposizione per l’occasione e vado a sedermi sistemando la gonna intorno alle gambe in modo da stare comoda e composta, come si conviene a una giovane della buona società.
La roccia su cui siedo è senz’altro scomoda, forse questo non è il posto ideale per un picnic ma questo luogo ha un significato speciale per noi sorelle Pennington.
Questo è il nostro posto del cuore, il rifugio di tanti pomeriggi trascorsi a giocare, rincorrersi e inventare storie noi due soltanto. Come se al mondo ci fossimo solo noi.
E le iniziali dei nostri nomi incise quando eravamo solo bambine sono ancora qui, ben visibili ed eterne.
M e W.
Margaret e Wilhelmina.
Maggie e Willie.
Porto la tazza alle labbra, soffio prima di bere e non stacco gli occhi dal nostro ospite che, anziché fare quel che ci si aspetta da lui, ovvero conversare e intrattenere, beve in silenzio e dal rossore che gli imporpora le guance comprendo che vorrebbe che il primo passo arrivasse dalla corteggiata.
Alzo gli occhi al cielo e torno a guardare mia sorella. Scuote la testa impercettibilmente e arriccia il naso. Lui non le piace così come non piace a me.
Non ci sono più i cavalieri di una volta, penso facendo attenzione a non lasciar sfuggire un mesto sospiro e annoto mentalmente le parole da riferire alla zia una volta rincasate: cara zia Annabel, è gentile da parte tua voler trovare marito alla più anziana delle tue adorate nipoti ma penso che Maggie possa cavarsela benissimo da sola. Anche se la cosa non è benvista in questa società. Anche se non è consuetudine. Cara zia, grazie per l’interessamento ma no, questo ennesimo damerino non fa al caso di mia sorella e ti sarei grata se evitassi di prodigarti anche per la sottoscritta in futuro.
E poi che me ne faccio di un marito quando tutto ciò che voglio è essere libera e vivere lontana da schemi e convenzioni sociali? Magari un giorno andrò via, lontano da qui.
Parigi magari? O ancora più lontano, al di là dell’oceano?
Mi lascio sfuggire uno sbuffo e penso che questo picnic sia già durato troppo a lungo ma il tempo è mite, il sole scalda la pelle e la campagna scozzese è un trionfo di colori e profumi che voglio godermi ancora un po’.
Inspiro l’aria fresca e frizzante che profuma di erba, cardi e salsedine dal mare non molto distante da qui.
“Biscotti?” domando allungando un piattino che prendo dal cesto di vimini che ho accanto e Maggie accetta, golosa com’è, mentre il nostro ospite rifiuta con un cenno della mano.
Non solo è di poche parole, non ama nemmeno i dolci.
Sospiro, questa volta rumorosamente e senza badare a trattenermi.
Mia sorella ride portandosi una mano alla bocca, comprende la mia sofferenza nel vestire i panni dello chaperon e so per certo che questo gentiluomo che piace tanto a nostra zia non va a genio nemmeno a lei.
Lui ci osserva spaesato senza capire.
Gli sorrido rassicurante.
Vorrei dirgli che come corteggiatore vale ben poco se non riesce a tirar fuori un argomento di conversazione, anche più il banale, ma trattengo la lingua. In fondo mi fa tenerezza.
È un giovane di buona famiglia che un giorno erediterà una fortuna, a quanto pare, ma la cosa non cambia l’opinione che mi sono fatta di lui nell’ultima mezz’ora.
È noioso quanto una lezione di buone maniere con Mrs Howard.
Guardo mia sorella che sgranocchia il suo biscotto e alza le spalle.
“Altro caffè, Cecil?” chiedo.
Sì, temo che sarà un lungo pomeriggio e ricorderemo questo picnic come il più noioso di sempre!

[…] non più oppressi dalla fatica imposta dal procedimento della lastra umida, con il suo ingombrante armamentario e la sua tecnica impegnativa, tutti si diedero a fotografare ogni sorta di soggetti: gruppi di famiglia rigidamente in posa, immagini senza pretese di pic nic e di scampagnate, scene di strada, cose vicine e care, cose lontane e viste soltanto in viaggio. […]

Queste immagini furono chiamate snapshots (istantanee), una parola usata dai cacciatori per descrivere il colpo fulmineo di un’arma da fuoco sparato senza prendere accuratamente la mira. […]

Beaumont Newhall, Storia della fotografia, Einaudi, Torino 1984, p. 179

[…] “Alla lunga fila dei dilettanti”, scriveva Giovanni Muffone nel più diffuso manuale Ottocentesco, dal suggestivo titolo Come il sole dipinge (la prima edizione apparve da Hoepli nel 1886, mentre l’ultima e nona uscì nel 1925), “si è aggiunto in questi tempi un nuovo essere: genere anfibio fra il pittore, il viaggiatore impressionista, e il fannullone. Esso è il dilettante fotografo” […]

Italo Zannier, Storia della fotografia italiana dalle origini agli anni ’50, Editori Laterza, Roma-Bari 1986, p. 102